sabato 28 febbraio 2009

L'Angelo di Bull Run

Che vi sia una relazione particolarmente stretta e privilegiata tra le guerre e l’attività dei demoni è un fatto intuitivo, diremmo assiomatico. Infatti la guerra è il contesto più pertinente per scatenare gl’istinti più brutali delle persone, per causare molta sofferenza, per distruggere molte vite umane e per precludere a tanti l’accesso all’eterna felicità. Satana odia gli uomini e li disprezza, perché pur possedendo una natura a lui inferiore sono chiamati a quella vita gloriosa da lui irrimediabilmente perduta. Soprattutto egli odia Dio che lo ha smascherato e gli ha impedito di realizzare il suo folle e tirannico progetto di dominio sull’universo. Ogni sofferenza che egli infligge, ed ogni vita che distrugge, è soprattutto un dolore che arreca a Dio, e ciò gli procura una gioia infernale. Non è un sentimento incomprensibile, il suo. Durante le varie pulizie etniche degli anni novanta nella ex Yugoslavia, capitava di leggere sui muri delle case distrutte, tra i cadaveri dei civili assassinati: “Viva la Guerra!”. Per i malvagi la guerra non è una triste incombenza ma un piacere liberatorio.

Il fatto che Satana sia il principale autore delle guerre non fa, tuttavia, di Dio un testimone passivo. Al contrario, proprio per le pesanti conseguenze che esse comportano, Egli vigila e interviene attivamente. Nel racconto biblico, ove si solleva il velo dell’azione soprannaturale, quest’intervento viene spesso mostrato. Anzitutto esso si concretizza nell’impedire che alla guerra si giunga. Al capitolo 7 di Apocalisse si parla espressamente di angeli che trattengono i venti di guerra, nella fattispecie per consentire la messa in salvo spirituale di tutti coloro che si schierano dalla parte del bene. Dio protegge i popoli dalla calamità della guerra finché non hanno colmato la misura della loro ribellione. D’altra parte, quando tale misura è superata, Egli può decidere che proprio la guerra sia la modalità per castigare o persino per distruggere una nazione. Avvenne così con le genti di Canaan, tecnologicamente avanzate per quel tempo, ma moralmente corrotte, al punto di praticare il sacrificio umano dei propri figli (cf 2Re 3:27). Strumento di questo castigo può essere un popolo fedele (come nel caso d’Israele), ma può essere un altro popolo infedele, così come fu dell’Assiria: “Dice il Signore: «L'Assiria! Per me è un bastone per punire, una verga per castigare. Mando l'Assiria contro una nazione empia, che ha suscitato la mia collera. La mando a saccheggiare, a depredare e a calpestare questo popolo, come il fango della strada». Ma gli Assiri hanno in mente altri piani di guerra. Sono decisi a distruggere una nazione dopo l'altra. Essi si vantano e dicono: «Ogni nostro comandante vale quanto un re! Abbiamo conquistato le città di Calne e di Carchemis. La città di Camat è stata presa e così pure Arpad, Samaria e Damasco. Abbiamo annientato questi regni che fanno più idoli di Gerusalemme e di Samaria. Come abbiamo distrutto Samaria e tutti i suoi idoli, faremo lo stesso a Gerusalemme e a tutte le statue adorate dai suoi abitanti». Ma dice il Signore: «Quando avrò finito con il monte Sion e con Gerusalemme, punirò anche il re di Assiria per il suo orgoglio e la sua presunzione». Infatti il re di Assiria si vanta dicendo: «Ho fatto tutto questo da solo. Sono forte, saggio e intelligente. Ho spostato i confini delle nazioni e ho saccheggiato i loro tesori. Con la mia potenza ho abbattuto quei popoli” (Is 10:5-13). L’Assiria pensava d’agire per proprio merito e forza, quando invece era solo uno strumento (cf v. 15), e alla fine dovette a sua volta rispondere per i crimini commessi.

La pace è un dono celeste. Quando una nazione si corrompe e lo Spirito di Dio si ritira da essa, la guerra in quanto antitesi della pace, portata da altri uomini e incitata dai demoni, è spesso l’inevitabile conseguenza del degrado morale in cui quella nazione è precipitata. Comunque Dio non dà in appalto le guerre. Egli consente e controlla direttamente l’intero processo. Dal suo giudizio, come giustamente osservava Agostino, dipende sia la durata che l’esito dei conflitti. Se lo ritiene opportuno, interviene direttamente per produrre il risultato da lui voluto. Il racconto biblico si riferisce spesso a questi interventi soprannaturali, anche scendendo nei dettagli. Possiamo portare diversi esempi, cominciando proprio dall’Assiria che aveva finito per attribuire i suoi successi ai propri meriti. Sennacherib aveva fatto prendere d’assedio Gerusalemme e cominciò a terrorizzare i suoi abitanti con parole che la dicevano lunga sulla sua presunzione: «Ascoltate il messaggio del gran re, il re d'Assiria: Attenti a non lasciarvi ingannare da Ezechia. Egli non è in grado di liberarvi dal mio assalto! E non lasciatevi convincere da lui a confidare nel Signore. Egli vi dirà che il Signore vi salverà e che questa città non cadrà nelle mani del re d'Assiria, ma voi non dategli retta. Ascoltate invece le parole del re d'Assiria: Arrendetevi al mio successo; così ognuno potrà mangiare la sua uva e i suoi fichi e bere l'acqua del suo pozzo, fino a quando non verrò a prendervi per portarvi in una terra simile alla vostra, una terra che produce frumento e mosto, che ha pane e vigne. Non date ascolto a Ezechia; egli vi inganna, dicendovi che il Signore vi libererà. Gli dèi degli altri popoli hanno forse liberato i loro territori dalla mano del re d'Assiria? Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? E quelli di Sefarvaim? Hanno forse liberato Samaria dalla mia mano? Nessun dio di nessuna nazione ha mai liberato il suo territorio dalla mia mano! Perché il Signore dovrebbe salvare Gerusalemme?» (Is 36:13-20). Re Ezechia, con lo spirito di chi è attaccato e deriso dall’esercito più potente della terra, chiese aiuto in preghiera al suo Dio e tramite il profeta Isaia ricevette una risposta rassicurante. Infatti “quella stessa notte un angelo del Signore fece morire centottantacinquemila uomini dell’esercito assiro. Al mattino quando gli altri si alzarono, non videro altro che cadaveri” (37:36). D’improvviso Sennacherib perse la boria, la sicurezza e il rispetto della sua gente. Se ne tornò a Ninive come un cane bastonato e qui fu ucciso dai suoi stessi figli. La corruzione di Gerusalemme non aveva ancora raggiunto il culmine e Dio, ascoltando la supplica del suo popolo, salvò la città con un intervento prodigioso. Qualcosa di analogo accadde sotto il regno di Giosafat; Ammoniti, Moabiti ed Edomiti si erano coalizzati e stavano marciando contro Giuda con un grandissimo esercito. Allora Giosafat radunò gli abitanti di Giuda davanti al tempio e pregò il Signore perché intervenisse in aiuto del suo popolo. Mentre l’assemblea era riunita, lo Spirito del Signore scese su Iacaziel, un levita del gruppo di Asaf, che cominciò a parlare: “Voi tutti, abitanti di Gerusalemme e di Giuda, e tu, re Giosafat, ascoltate quel che dice il Signore: Non temete e non perdetevi di coraggio di fronte a questo immenso esercito: non sarete voi a combattere, ma Dio stesso” (2Cro 20:15). L’indomani l’esercito di Giuda andò incontro ai nemici. Quando i cantori intonarono l’inno “Lodate il Signore perché eterno è il suo amore”, accadde qualcosa di straordinario. “Il Signore sconvolse di sorpresa Ammoniti, Moabiti ed Edomiti che stavano marciando contro l'esercito di Giuda. Cominciarono a combattersi tra di loro. Ammoniti e Moabiti si lanciarono contro gli Edomiti fino ad ucciderli e sterminarli tutti; quando gli Edomiti furono finiti, gli altri si misero a massacrarsi tra di loro. Intanto gli uomini del regno di Giuda erano giunti sulla collina dalla quale si poteva vedere il deserto. Essi guardavano dove si trovava l'esercito nemico e non videro altro che cadaveri stesi a terra: non c'era nessun superstite” (vv. 22-24). Quest’avvenimento richiama in qualche modo l’impresa di Gedeone contro l’esercito di Madian. Quando in trecento si limitarono a suonare le trombe: allora “i Madianiti si misero a correre da una parte e dall'altra, urlavano di paura e cercavano di fuggire… il Signore gettò nel panico tutto l'accampamento, e i Madianiti si colpirono l'un l'altro con la spada. Infine, tutto l'esercito prese la fuga” (Gd 7:21,22). Quello di gettare nel panico l’esercito nemico e indurlo alla fuga è una prassi ricorrente dell’intervento soprannaturale per condizionare l’esito della battaglia e della stessa guerra. Così avvenne ad esempio quando Ben-Adad, re di Aram, pose Samaria sotto assedio. La situazione s’era fatta critica per la mancanza di cibo, ma il profeta Eliseo annunziò la liberazione della città per il giorno seguente. E così avvenne, per intervento soprannaturale. “Era successo che, per tutto l'accampamento arameo, il Signore aveva fatto sentire un rumore simile all'avvicinamento di un grande esercito con carri e cavalli. Gli Aramei avevano pensato: «Il re d'Israele ha pagato il re degli Ittiti e quello degli Egiziani perché ci attacchino». Perciò, verso sera, si erano dati alla fuga, lasciando l'accampamento come si trovava; avevano abbandonato tende, cavalli e armi. Pur di salvare la vita, erano scappati” (2Re 7:6,7). Gli uomini avvezzi alle cose di Dio sapevano bene che quanto grande potesse essere un esercito nemico, ce n’era uno ancor più grande invisibile agli occhi umani. Fu la lezione che Eliseo diede al suo servo quando il re di Aram fece circondare Dotan, la città del profeta, “con un forte gruppo di soldati, con carri e cavalli. Arrivarono di notte e accerchiarono la città. La mattina il servo del profeta Eliseo si alzò uscì, vide soldati, carri e cavalli che circondavano la città e gridò a Eliseo: - È spaventoso, maestro! Che cosa possiamo fare? - Non aver paura, - gli rispose Eliseo, - i nostri difensori sono più numerosi dei loro! Poi si mise a pregare: «Signore, apri gli occhi a quest'uomo, fa' che possa vedere». Il Signore aprì gli occhi al servo, e lui fu in grado di vedere: le montagne erano piene di carri e cavalli di fuoco, tutt'intorno a Eliseo” (2Re 6:14-17).

Quando il Canone biblico fu chiuso, cessò pure la principale fonte d’informazione sull’azione soprannaturale di Dio riguardo agli eventi della storia umana, guerre comprese. Tant’è che oggi ci viene difficile immaginare l’intervento diretto di Dio nelle guerre contemporanee. Eppure, chiediamoci: perché le sue modalità d’intervento dovrebbero essere cambiate rispetto al passato? Ciò che assai più probabilmente ci manca è la possibilità di sbirciare sull’azione soprannaturale che tuttavia continua ad esserci. In realtà non è neppure vero che ci è preclusa la possibilità di sollevare il velo sull’azione soprannaturale. Ogni figlio di Dio che si rivolge a lui in preghiera per ricevere aiuto è testimone di meravigliose liberazioni che non sono ragionevolmente spiegabili se non con l’azione soprannaturale. È anche vero che Dio di norma agisce con molta discrezione, e quindi il riconoscimento di questi interventi finisce per circoscriversi alla valutazione soggettiva dell’interessato e, al più, del suo stretto entourage. Ma talvolta l’azione soprannaturale su uno specifico evento può essere aperta a verifiche più oggettive, e ciò accade in periodi particolari quando il muro che nasconde l’azione extraumana sembra farsi più sottile. Un evento non lontano che si presta a quest’analisi “oggettiva” è la guerra civile americana, il primo grande conflitto combattuto con strumenti e strategie moderne. E ciò è possibile perché quello fu un periodo storico di grande risveglio spirituale, che ebbe luogo soprattutto negli Stati Uniti, che portò alla nascita di alcuni importanti movimenti religiosi, inizialmente all’interno delle chiese storiche, e che fu accompagnato da una serie di fenomeni soprannaturali sia di tipo medianico, sia, come molti sono convinti, di origine divina.


La battaglia di Bull Run

La presa di Fort Sumter, postazione governativa situata nella Carolina del Sud, offrì a Lincoln il casus belli per giustificare la riconquista armata degli stati secessionisti. Dapprima le operazioni militari si limitarono a sporadici ingaggi con il nemico e a brevi scaramucce. Andò avanti così per circa tre mesi finché fu chiesto al generale McDowell di procedere alla conquista Richmond, capitale della Virginia e della Confederazione sudista, che distava da Washington appena 150 km. Era infatti convinzione di tutti che la superiorità dell’Unione fosse così schiacciante da consentire al suo esercito d’aver rapidamente ragione dei “ribelli”, cioè delle truppe confederate, e di poter quindi farla finita con la vicenda della secessione. La strada che collega le due capitali attraversa una serie di corsi d’acqua, tra i quali il Bull Run nei cui pressi ebbe luogo la prima vera battaglia combattuta dai due eserciti.

Perché lo scontro si ebbe nei pressi di questo corso d'acqua? Perché esso era stato scelto come linea difensiva dal generale sudista Beauregard, comandante dell’armata del Potomac. A ragion veduta. Il Bull Run infatti pur essendo un torrente di modeste dimensioni era difficile da superare se non attraverso l’unico ponte (lo Stone Bridge) e pochi guadi. Inoltre due chilometri più a sud correva la ferrovia del passo di Manassas che portava alla valle dello Shenandoah dov’era dislocata un’altra armata sudista, quella del generale Johnston. Il suo possesso consentiva all’occorrenza di spostare truppe rapidamente da un settore all’altro.

Il piano di McDowell prevedeva l’invio di due divisioni per simulare la sua avanzata attraverso il guado di Blackburn (sul lato destro dello schieramento confederato) e lo Stone Bridge, mentre il grosso delle truppe unioniste avrebbe guadato il Bull Run ben oltre il fianco sinistro dello schieramento avversario con il risultato di coglierlo di sorpresa sul tergo e di tagliarne le comunicazioni, sia con l’armata di Johnston posizionata nella valle dello Shenandoah sia con la capitale sudista Richmond. Al contempo una forza di poco inferiore comandata dal generale Patterson avrebbe tenuto a bada Johnston impedendogli di venire in soccorso di Beauregard.

Il piano era ben congegnato e infatti colse alla sprovvista l’esercito sudista in gran parte concentrato a sud-est. L’estrema ala sinistra confederata era affidata all’esile brigata del colonnello Evans costituita soltanto da un reggimento e un battaglione di fanteria posti a sorvegliare il ponte di pietra. Nella notte del 21 luglio 1861 McDowell diede ordine alle divisioni del generale Hunter e del colonnello Heintzelman di mettersi in marcia verso il guado di Sundley Springs mentre la divisione del generale Tyler si portava davanti al ponte di pietra per distrarre Evans e distoglierlo dall’accerchiamento in atto. Tuttavia l’inganno durò poco perché le divisioni di Hunter e Heintzelman giunsero più tardi del previsto al guado di Sundley, quando ormai era giorno, e il loro movimento non era più coperto dalle tenebre. Pertanto, accortosi della manovra aggirante, Evans lasciò alcune centinaia di uomini a difesa del ponte, posizionò il grosso della sua milizia su una piccola altura chiamata Matthew Hill e aprì il fuoco sulle truppe del generale Hunter che si trovavano in testa alla colonna unionista e che nel frattempo avevano attraversato il fiume. Gli yankees erano tanti ma anche provati dalla lunga marcia notturna, e ciò bastò ai pochi uomini di Evans, peraltro ben posizionati, a rallentarne per un po’ l’avanzata.

Verso le 10 del mattino giunsero a dare manforte al coraggioso ed abile Evans le brigate dei generali Bee e Bartow, 5000 uomini freschi che sul momento vennero anch’essi schierati sulla Mattew Hill. Poi, per contrastare la pressione sempre più incontenibile dell’esercito unionista e per dar tempo alle forze confederate di riorganizzarsi, Evans, Bee e Bartow decisero il contrattacco, lanciando le proprie truppe giù dalla collina e affrontando il nemico in campo aperto. Tuttavia, nonostante il coraggio mostrato nel furioso combattimento che seguì, essi dovettero ritirarsi nuovamente sulla Mattew Hill per la sproporzione numerica esistente tra loro e lo schieramento nordista.

A questo punto McDowell ordinò alla divisione di Heintzelman, non ancora intervenuta in battaglia, di attaccare quel che restava delle truppe di Evans, Bee e Bartow. Al contempo ordinò a Tyler, fermo al di là del ponte di pietra, di darsi da fare per attraversare il Bull Run e unirsi al resto delle forze unioniste; e questi prontamente inviò tre brigate agli ordini dei colonnelli Sherman, Keyes e Schenck che passarono il fiume attraverso un guado minore non protetto.

La situazione si faceva sempre più insostenibile per i confederati che, incalzati dalla fanteria di Heintzelman e accortisi dell’arrivo della colonna di Tyler, decisero di ritirarsi per non rimanere stretti tra due fuochi. Così essi abbandonarono precipitosamente la loro postazione e se la loro fuga non si trasformò in rotta fu solo perché gli unionisti preferirono riorganizzarsi sul campo anziché lanciarsi al loro inseguimento. Tra i soldati di McDowell andava diffondendosi la convinzione di avere in mano la battaglia, e lo stesso comandante federale ormai cavalcava fra la sue truppe agitando il cappello e inneggiando alla vittoria.

Intanto gli uomini di Evans, Bee e Bartow si erano ricomposti e nuovamente schierati sulla sommità di un’altra collina: la Henry Hill. Ciò che McDowell non sapeva è che il generale Johnston, all’insaputa del generale Patterson, era riuscito qualche giorno prima a spostare via ferrovia gran parte della propria divisione dalla valle dello Shenandoah a Manassas, su richiesta di Beauregard. Così, sebbene i sudisti fossero presi alla sprovvista dalla manovra di McDowell, le forze a disposizione di Beauregard erano numericamente solo di poco inferiori a quelle dei nordisti. Quando il colonnello Evans diede l’allarme quel mattino del 21 luglio e chiese rinforzi, Beauregard pensò ad un diversivo e non inviò subito il grosso delle truppe. Solo quando fu chiaro che lì si stava combattendo la vera battaglia, cominciarono ad affluire i reparti migliori dei confederati. Tra questi spiccò la brigata del generale Thomas Jackson che faceva parte della divisione di Johnston. Benché numericamente poco rilevante (2000 uomini) si schierò saldamente in cima alla Henry Hill consentendo ai nuovi reparti che affluivano di prendere posizione. La sua fermezza e solidità fece guadagnare ad essa e al suo comandante il soprannome di “Stonewall” (muro di pietra). Ciò che si conosce poco è che l’inamovibilità di Jackson fu resa possibile grazie ad un aiutino di cui diremo tra poco.

La cronaca del conflitto registra una serie di attacchi e contrattacchi per la conquista della collina di Henry Hill che si protrasse fin oltre le 4 del pomeriggio. Era chiaro che dall’esito di questo combattimento sarebbe uscito il vincitore della battaglia. Man mano che i nordisti aumentavano i loro sforzi rinnovando gli attacchi, i sudisti richiamavano tutte le brigate disponibili per ridurre lo svantaggio numerico e per dare il cambio alle truppe che combattevano dalla mattina. L’esito del conflitto sembrò finalmente volgere a favore dei confederati con l’arrivo delle brigate dei colonnelli Elzerly ed Early, quest’ultima sostenuta dalla cavalleria del colonnello Stuart, che attaccarono i nordisti sul fianco destro. Il contrattacco confederato avrebbe fiaccato definitivamente la resistenza dei federali fino a causarne il ritiro veloce e disordinato dal campo di battaglia; così almeno recita la versione più diffusa. Early e Stuart si posero all’inseguimento dei fuggitivi. Il colonnello William Blackford, che allora era tenente nello squadrone di Stuart, ricorda così nelle sue memorie quella fuga concitata: “Essi [i nordisti] si tuffarono nel Bull Run senza attenzione a guadi o ponti, e in molti annegarono. Moschetti, cartucciere, cinture, zaini, bisacce e coperte furono gettati via nella loro folle corsa, perché nulla potesse ostacolarne la fuga” (W.W. Blackford, War Years with Jeb Stuart, Scribner & Sons, p. 34). Alla vista dei nordisti in rotta i molti abitanti di Washington, che avevano fatto picnic sulle colline per assistere alla battaglia, rimontarono sui loro calessi e si riversarono caoticamente sulla strada del ritorno rallentando ulteriormente la ritirata dei loro soldati in fuga e inseguiti dal nemico. Davvero una disfatta completa e umiliante per chi pensava che “un gruppetto di donne armate di manico di scopa sono sufficienti per andare a sconfiggerne la ribellione” (New York Tribune, gennaio 1861).


Una disfatta incongruente

Si è scritto molto sulle cause di questa inattesa sconfitta dell’armata di McDowell. Si è fatto notare che i suoi ragazzi erano in buona parte volontari inesperti, affaticati dalla lunga marcia, provati da una giornata di combattimenti, prostrati dal caldo estivo e per la sete. Si è detto che gli ufficiali non avevano esperienza di gestione di un grande esercito, in movimento e sul campo. Che le guerre finora combattute erano quelle contro gli indiani e i messicani. Tutto questo è vero, ma valeva in qualche modo anche per l’esercito sudista, sebbene l’Unione l’avesse molto sottovalutato. Beauregard commise gravi errori nell’analisi della situazione e intervenne seriamente con molto ritardo. Verso la fine della battaglia, sebbene le due formazioni più o meno si equivalessero, non impiegò mai più di 17000 uomini in combattimento. E al momento del ritiro degli unionisti le truppe sudiste erano cosi provate dall’azione che, con l’eccezione d’una brigata, non poterono impegnarsi nell’inseguimento.

Al contempo, però, questi stessi analisti, almeno quelli più documentati, riconoscono un elemento misterioso in questa battaglia che mal si concilia con il resto dell’analisi. Tale elemento è costituito dal “panico che si è impadronito dell’esercito dell’Unione al momento decisivo, per motivi ancora oscuri”, come scrisse Karl Marx in uno dei suoi famosi articoli sulla guerra civile. Se i motivi sono oscuri vuol dire che quelli proposti tradizionalmente male s’accordano con il racconto dei testimoni oculari. S’è dato il merito della disfatta nordista all’esigua brigata del generale “Stonewall” Jackson perché “tenne duro”. Ma la spiegazione non regge perché essa ebbe una funzione prevalentemente difensiva, e una buona difesa può tutt’al più causare frustrazione nel nemico, non panico. Ma a quanto pare frustrati erano pure gli stessi confederati che con il passare del tempo – per dirla con le parole dello storico Ralph H. Gabriel – “dettero segno d’incipiente demoralizzazione”. Certo, l’arrivo delle brigate di Elzerly ed Early, con l’appoggio della cavalleria di Stuart, dovette complicare la situazione delle truppe federali che però conservavano la superiorità numerica: schieravano pur sempre tre divisioni sul campo. E d’altra parte ci sono le prove che non fu l’arrivo di queste ultime brigate a produrre lo scompiglio tra le linee unioniste. Il fenomeno si produsse all’improvviso senza cause apparenti e sorprese anche i confederati che non capirono cosa stesse accadendo nello schieramento avversario. Un’importante testimonianza si trova nelle memorie del colonnello Blackford a cui abbiamo già attinto pocanzi. Egli faceva parte del reggimento sudista di cavalleria che stava attaccando le truppe unioniste sul finire della battaglia. Se le cose fossero andate secondo la spiegazione tradizionale, egli avrebbe dovuto giustamente vantarsi del fatto che l’azione del suo reparto avesse gettato nel panico e messo in rotta i nemici. Invece egli racconta tutt’altra cosa, ascoltiamolo.

“Erano circa le quattro e la battaglia andava avanti con furia rabbiosa. Le linee dei blue [blu scuro era il colore prevalente delle uniformi nordiste, grigio chiaro quello dei sudisti] non mostravano cedimento e la potenza di fuoco da esse prodotto era più violenta che mai, finché repentinamente cominciarono ad avvicinarsi alla solida barriera rappresentata dai grigi che li fronteggiavano, proprio quella che in mattinata era valsa a Jackson il soprannome di Stonewall [muro di pietra]. Fu allora che ebbe luogo la scena più sorprendente di cui sono mai stato testimone. Stavo osservando le numerose linee [dei nordisti] perfettamente inquadrate mentre avanzavano in attacco, qualcosa come quindici o ventimila uomini bene in vista, e per qualche motivo m’ero voltato un momento da un’altra parte, quando qualcuno puntando al campo di battaglia gridò: “Guardate! Guardate!”. Guardai, e che cambiamento era avvenuto in un istante! Quelle linee ben disposte e ordinate, con spazi ben definiti tra loro, che risolutamente si portavano in avanti, [improvvisamente cominciarono a sbandare] e ci fu una confusione tale che quegli uomini, simili a uno sciame di api, si sparpagliarono in tutto il campo correndo verso le retrovie tanto velocemente quanto lo permettevano le gambe, rinunciando all'ordine e all'organizzazione. In un momento l'intera valle pullulò di un numero tale di uomini da non potere neppure essere afferrato con lo sguardo” (W.W. Blackford, op cit., p. 34).

Qui Blackford afferma con chiarezza che lo schieramento nordista era tutt’altro che sulla difensiva al momento della débâcle. Al contrario stava conducendo un’offensiva potente, sicura e irresistibile come mai prima, e che si stava avvicinando minacciosamente alla linea difensiva dei confederati. Finché, senza alcuna apparente ragione, in un attimo si produsse tra gli yankees una confusione e uno scompiglio tale da provocarne la fuga scomposta e precipitosa. Dal racconto di Blackford si evince chiaramente che questo repentino cambiamento della situazione in campo non fu determinato dall’azione dei confederati che in quel momento subivano l’offensiva. E allora da chi o da cosa fu determinato questo capovolgimento della situazione sul campo di battaglia? La risposta ci giunge da una fonte del tutto inattesa.


Un’incredibile rivelazione

Dobbiamo tener conto, come dicevamo all’inizio, che la guerra di secessione si svolse durante gli anni del Secondo Grande Risveglio, turbinoso movimento revivalista che induceva centinaia di migliaia di persone a meditare sul messaggio del Vangelo e a riformare le proprie vite. Movimento già prodigioso per la vastità e l’intensità della sua diffusione nel mondo cristiano, dalla Russia al continente americano e all’Oceania. Accompagnato inoltre da diverse manifestazioni d’evidente origine soprannaturale quando si rendeva necessario superare ostacoli insormontabili alla predicazione (come fu il caso delle centinaia di bambini predicatori nei paesi scandinavi) o quando fu necessario aiutare a formarsi e maturare il movimento dell’avvento negli Stati Uniti. Qui la figura di spicco è quella di Ellen. G. White che nella sua lunga vita ricevette oltre 2000 messaggi per l’edificazione del popolo che aspetta il ritorno di Gesù. Tra l’altro ella ricevette alcuni messaggi riferiti esplicitamente alla guerra civile americana.

Il primo di tali messaggi le fu dato in visione il 12 gennaio 1861 quando ancora solo quattro stati del sud avevano proclamato la secessione, non si erano ancora costituiti in confederazione, Abramo Lincoln non si era ancora insediato, mancavano ancora tre mesi all’attacco di Fort Sumter e quando tutti nell’Unione erano convinti che mai ci sarebbe stata la guerra civile e che comunque, se proprio i sudisti fossero stati così sconsiderati da provocarla, essa si sarebbe risolta in una rapida passeggiata a favore dei nordisti. Questo secondo convincimento durò, come abbiamo visto, fino alla battaglia di Bull Run quando molti abitanti di Washington, vestiti con l’abito della domenica, andarono a fare picnic sulle colline attorno al teatro della battaglia per assistere alla sonora batosta che i loro ragazzi avrebbero dovuto infliggere ai ribelli sudisti. Tre mesi prima dell’aggressione a Fort Sumter e sei mesi prima della battaglia di Bull Run, Ellen White vide chiaramente che, contrariamente al comune convincimento, la guerra ci sarebbe stata e sarebbe stata lunga e sanguinosa. Per chi volesse approfondire il contenuto e il contesto di questa rivelazione pienamente realizzatasi si rinvia al mio studio “Ellen G. White, una voce per il nostro tempo”, pubblicato su Quaderni Escatologici, al paragrafo “Annuncio di imminenti calamità”. Il medesimo studio è un’utile introduzione alla biografia di questa donna che ha vissuto un’esperienza del tutto singolare.

A circa 8 mesi dalla prima rivelazione sulla guerra civile, Ellen White ne ebbe una seconda. Era il 3 agosto 1861. Pochi giorni prima l’Unione aveva incassato la severa e inattesa batosta a Bull Run e quel giorno era stato consacrato dalla nazione alla “umiliazione, alla preghiera e al digiuno”. E proprio quel giorno il Signore fece conoscere ad Ellen come la pensava in proposito. Le fu rivelato che il nodo del problema stava nell’istituto e nella pratica dello schiavismo, che Egli considerava un peccato e che era in netto contrasto con gli insegnamenti di Cristo. Dio si serviva della guerra civile per punire entrambi i contendenti: il Sud per averlo praticato, e il Nord per averlo tollerato. Coloro che continuavano a sperare in una guerra breve, sarebbero stati delusi. Quel giorno consacrato dalla nazione alla preghiera e al digiuno per implorare la sua benevolenza era da lui considerato un insulto alla sua Persona finché l’Unione non si fosse data come obiettivo prioritario l’eliminazione di questa infamia. Perché Egli intende per vero digiuno “rimuovere ogni peso che opprime gli uomini, rendere la libertà agli oppressi e spezzare ogni legame che li schiaccia” (Is 58:6).

Nel corso di questa rivelazione furono pure svelate ad Ellen alcune sorprendenti informazioni relative a questa prima battaglia di Bull Run (conosciuta pure come prima battaglia di Manassas, dal centro abitato più vicino al teatro dello scontro). Ad Ellen fu mostrato lo svolgersi della battaglia insieme a qualche particolare che di norma agli uomini non è dato vedere. Ascoltiamo le sue parole.

“Potei osservare la recente, disastrosa battaglia di Manassas, in Virginia. Fu una scena veramente toccante, straziante, anche raccapricciante. L’esercito sudista era tutt’altro che sfavorito e impreparato, anche alla lotta più cruenta. Ma l’esercito nordista avanzava con aria trionfante, non nutrendo alcun dubbio sulla propria vittoria. Molti erano sprezzanti, e marciavano in testa con la supponenza di chi si crede già vincitore. Anche se, man mano che s’avvicinavano al campo di battaglia, in tanti portavano evidenti i segni della fatica e sentivano il bisogno di riposare. Essi mai immaginavano di dover sostenere un combattimento così violento, tuttavia si gettarono nella mischia e combatterono con coraggio e accanimento. Dappertutto si vedevano soldati morti o agonizzanti. Sia il Nord che il Sud subirono perdite rilevanti, ma i sudisti erano in maggiore difficoltà e da lì a poco sarebbero stati costretti ad un’ulteriore ritirata. I nordisti erano all’attacco, benché le loro perdite fossero consistenti. Proprio allora discese un angelo [dal cielo, si portò sul campo di battaglia] e agitò la sua mano all’indietro. Istantaneamente quelle schiere all’attacco precipitarono nella confusione. Ai nordisti sembrò che la loro formazione stesse indietreggiando, mentre in realtà non era affatto così, e iniziò allora per davvero una ritirata precipitosa. Quanto vidi mi lasciò stupefatta.” (Review & Herald, 27 agosto 1861, par. 9).

Ecco così svelata la causa misteriosa per cui un esercito in piena azione offensiva andò in confusione, fu preso dal panico e si disperse in modo scomposto e precipitoso. Ma c’è di più. Ad Ellen fu pure spiegata la ragione di questo intervento soprannaturale così drammatico e risoluto: “Dio aveva nelle sue mani questa nazione e non avrebbe consentito vittorie ottenute più velocemente di quanto Egli ordinasse” (ibidem). Al Nord non era permesso vincere in questa fase battaglie decisive che portassero rapidamente alla fine della guerra sia perché andava punito per avere tollerato l’istituto della schiavitù sia perché tutt’ora, nonostante le dichiarazioni di principio, non mostrava alcuna seria volontà d’impegnarsi per la sua abolizione. Il presidente Lincoln era quel signore che aveva proposto un emendamento nella Costituzione in cui si affermasse che “Il governo federale non interverrebbe mai nelle istituzioni domestiche degli Stati, includendo quella delle persone tenute al servizio”. Ancora un anno più tardi, nell’agosto del 1862, egli dichiarava esplicitamente: “Il mio obiettivo supremo in questa battaglia è di salvare l'Unione, e non se porre fine o salvare la schiavitù. Se potessi salvare l'Unione senza liberare nessuno schiavo, io lo farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, io lo farei; e se potessi salvarla liberando alcuni e lasciandone altri soli, io lo farei anche in questo caso. Quello che faccio a riguardo della schiavitù, e della razza di colore, lo faccio perché credo che aiuti a salvare l'Unione”. In sintesi, l’abolizione o la conferma della schiavitù erano solo una carta da giocare nella partita della riconquista degli stati secessionisti. Con tali premesse il Cielo non poteva consentire che la guerra avesse termine.

A quasi un anno dalla prima visione sulla guerra civile, il 4 gennaio 1862, Ellen White ne ebbe una terza. Le vennero rivelati diversi retroscena sui comportamenti ambigui di politici e militari unionisti nei confronti della schiavitù e della secessione e le fu ribadito che Dio non avrebbe permesso al Nord di vincere fino a quando l’unità della nazione, e non l’abolizione dello schiavismo, fosse rimasto l’obiettivo principale di Washington. Dopo molti mesi di guerra, l’Unione non era più vicina alla vittoria di quanto non lo fosse stata all’inizio. La sua ostinazione a non farsi carico d’un problema morale ormai non più eludibile le stava costando la distruzione di tutte quelle vite umane, lo sperpero di tanta ricchezza e la devastazione del territorio: un inutile spreco. Bisognerà attendere il 1863 perché entri in vigore il sia pur insincero e strumentale proclama per l’emancipazione degli schiavi, di Lincoln. Si veda a proposito il mio articolo “Padri e Retorica” su Quaderni Escatologici. Comunque, sia pure così, si assiste alla revoca del veto da parte del Cielo e il 4 luglio di quell’anno il generale Grant, convinto abolizionista, espugna Vicksburg, spezzando in due il territorio della Confederazione e assumendo il pieno controllo del fiume Mississippi. La via della vittoria è aperta.


Il ruolo dello spiritismo

Tra le informazioni rivelate ad Ellen White c’era quella che persone importanti sia nel Governo che nei ranghi alti dell’esercito, pur professando fedeltà all’Unione, sostenevano in realtà lo schiavismo al punto da auspicare una vittoria della Confederazione. Esse usavano la propria influenza o la propria autorità per rendere inefficaci le operazioni belliche contro l’esercito sudista. Alcuni alti ufficiali giungevano ad esporre deliberatamente i propri reparti al fuoco del nemico per mutare in favore di quest’ultimo le sorti delle battaglie. Altri ufficiali invece, pur essendo leali all’Unione, facevano il gioco del nemico a propria insaputa.

Infatti all’inizio del 1863 Ellen White rese nota un’ulteriore rivelazione che svelava un’altra realtà poco conosciuta: e cioè che molte imprese militari erano influenzate dallo spiritismo. Satana tramite i suoi angeli comunicava con gli alti ufficiali dell’esercito unionista tramite le sedute spiritiche che molti di questi avevano l’abitudine di tenere prima d’ogni battaglia. Pensavano di parlare con gli spiriti dei grandi generali del passato, con i padri della “guerra di rivoluzione”, o anche con i colleghi e gli amici morti in questa guerra, chiedevano loro consiglio, e invece parlavano con i demoni bugiardi e prendevano i loro consigli di morte. Satana parteggiava per la Confederazione schiavista e le sue indicazioni tendevano innanzi tutto a mettere in difficoltà le truppe unioniste, e in secondo luogo a far morire quanta più gente possibile perché di questo egli gioisce. “Satana, tramite i suoi angeli, ha comunicato con gli ufficiali … che hanno rinunciato al loro giudizio e si sono lasciati guidare da questi spiriti menzogneri in luoghi veramente difficili dove sono stati respinti, rimanendo vittime di terribili stragi. Soddisfa appieno la sua satanica maestà vedere stragi e carneficine sulla terra. Gli piace vedere i poveri soldati falciati come l'erba. Ho visto che i ribelli spesso si sono trovati in posti dove avrebbero potuto essere sottomessi senza difficoltà; ma le comunicazioni che provenivano dagli spiriti hanno guidato i generali nordisti e li hanno accecati, e i ribelli sono potuti sfuggire alla cattura” (E.G. White, Testimonies for the Church, vol.1, Pacific Press, p.366,367).

Lo spiritismo moderno nacque nel 1848 nei sobborghi di New York come dottrina e pratica a metà strada tra la negromanzia da salotto e il gioco di società, in varia misura ammantata di un’aura di religiosità, alla cui base c’era il presupposto che i vivi potessero comunicare con gli spiriti disincarnati dei defunti. Ebbe così inizio una vera moda che si diffuse oltre che nel Nuovo pure nel Vecchio mondo, soprattutto comunque nel nord degli Stati Uniti ove peraltro aveva avuto origine. Si presentarono allora ai cultori di queste pratiche entità che si spacciavano per parenti trapassati, amici, personaggi famosi dell’antichità, e fu tutto un fiorire – come ha affermato ironicamente qualcuno – di zie morte, spiriti guida e antichi fantasmi indiani. Soprattutto le chiese condizionaliste, quelle cioè che non credono nell’immortalità dell’anima bensì nel sonno dei morti in attesa della risurrezione, misero in guardia contro il pericolo rappresentato dallo spiritismo che poteva solo essere, procedendo per esclusione, una comunione pericolosa con Satana e con i suoi angeli decaduti. Ciò nonostante il fenomeno venne accolto per lo più con atteggiamento di curiosità e apertura dalle classi colte che, escludendo i sia pur diffusi episodi truffaldini praticati da falsi medium, vi riscontravano le prove empiriche dell’esistenza di una vita ultraterrena.

La guerra civile non fece altro che ampliare e rafforzare questa pratica di consultazione dei “morti”, in realtà dei demoni. Infatti molte famiglie che avevano perduto i loro cari nel conflitto si avvicinarono allo spiritismo; inoltre alcuni medium offrirono le loro prestazioni a politici e alti ufficiali per suggerire strategie militari e legislative. A questo proposito c’è da constatare una decisa contraddizione tra i consigli operativi che venivano dati ai militari, che in genere finivano per favorire l’esercito sudista, e le dichiarazioni di principio delle entità, sedicenti spiriti dei morti, che sollecitavano l’abolizione della schiavitù. Questa contraddizione può essere spiegata con il fatto che lo spiritismo era soprattutto diffuso sul territorio dell’Unione la cui opinione pubblica tifava a stragrande maggioranza per l’emancipazione degli schiavi. Per dare un’idea di quanto sentito fosse l’argomento, quando venne approvato il Compromesso del 1850 (una serie di concessioni agli stati meridionali, tra cui il famigerato Fugitive Slave Act che prevedeva la restituzione ai padroni degli schiavi fuggiti verso gli stati abolizionisti) si verificò una forte indignazione dell’opinione pubblica nei confronti dei parlamentari che avevano proposto la legge allo scopo di disinnescare la tensione con gli stati schiavisti e che, infatti, ritardò di una diecina d’anni la crisi che sfocerà nella guerra civile. Il risultato fu la disubbidienza civile, infatti raramente gli schiavisti riuscirono a riavere i loro schiavi fuggiti nel Nord. Inoltre il senatore del Massachusetts Daniel Webster, il cui appoggio fu determinante all’approvazione della legge, si giocò l’elezione alla Casa Bianca per cui tre volte s’era candidato. Ecco così che allineandosi a questo orientamento predominante lo spiritismo indubbiamente aumentava la propria popolarità. Il sostegno alla campagna di arruolamento nell’esercito dell’Unione fornito dai circoli spiritistici aveva il medesimo scopo e in più procurava carne da cannone per la gioia perversa del principe delle tenebre.

Forse non molti sanno che lo spiritismo era, in senso stretto, molto familiare al primo cittadino degli Stati Uniti. Infatti Mary Todd, la moglie del presidente Lincoln, era una fervente spiritista della prima ora; interesse probabilmente derivato dalla perdita del secondogenito Edward, morto nel 1850 a soli quattro anni. Ma fu con la morte di Willie, il figlio undicenne amatissimo da entrambi i genitori, avvenuta nel 1862, che l’interesse della donna per lo spiritismo si fece ossessivo. La Casa Bianca divenne un viavai di medium e le sedute spiritiche si moltiplicarono e con esse pure i fenomeni d’infestazione. Nell’ottobre del 1863 Mary scriveva alla sorella Emily: “Willie è vivo. Viene a trovarmi tutte le notti e si siede ai piedi del letto con l’identico dolce adorabile sorriso di sempre. Non sempre viene da solo. Ogni tanto si accompagna con Eddie [il fratellino morto nel 1850], e per due volte è venuto insieme a nostro fratello Alex [ucciso quell’anno nella battaglia di Baton Rouge]”.

Anche il marito Abraham partecipava alle sedute, sebbene con minore assiduità. Era meno ossessionato di Mary, ma molto interessato e coinvolto. Segnalata la sua presenza durante quelle tenute dai famosi medium Charles Colchester, Charles Foster, J.B. Conklin, Cora Scott e, soprattutto, Nettie Colburn ospite abituale alla Casa Bianca che il Presidente interpellò spesso prima di prendere importanti decisioni politiche ed anche militari. Anni dopo la Colburn scrisse un libro (Was Abraham Lincoln a Spiritualist?) in cui ricordò la sua esperienza con la coppia presidenziale. L’immagine che emerge di lui è quella di un uomo risoluto e intelligente, che non delegava ad altri la propria capacità di giudizio e tuttavia che lasciatosi tentare dal mondo dell’occulto ne fu inevitabilmente sedotto. Quando un uomo, per quanto possa ritenersi dotato, si mette a discutere con i demoni, che possiedono ancora l’intelligenza degli angeli, non può che uscirne sconfitto. Quando la medium in trance gli parlò con il tono e il piglio inequivocabili di Daniel Webster, morto dieci anni prima eppure lì davanti a lui, quel Webster del Compromesso, che sacrificava gli schiavi all’Unione e al cui pensiero egli certamente s’era ispirato, allora ne fu sopraffatto. Davvero l’anima sopravvive alla morte! E quando la giovane medium si risvegliò, le posò una mano sul capo e le disse: “Figliola, tu possiedi un dono molto singolare; non ho alcun dubbio che esso venga da Dio” (dimenticando che Dio condanna esplicitamente la negromanzia; v. Deut 18:10-12; 1Cron 10:13-14; Isa 8:19). Da allora le sedute con Nettie Colburn alla Casa Bianca proseguirono a oltranza, talvolta anche in presenza di alti ufficiali dell’esercito alla ricerca di suggerimenti per migliori strategie. E fu così che pensando di usare un dono di Dio, Lincoln intrattenne relazioni con i demoni e prese da loro consigli sapientemente mischiati, buoni e cattivi, come essi usano per confondere gli uomini. Persino il Proclama per l’Emancipazione si dice che sia stato redatto con l’aiuto degli “spiriti”. E a ben pensarci non stupirebbe se si considera quale capolavoro d’ipocrisia esso sia. Infatti, sebbene si rivelasse il primo passo nella direzione dell’emancipazione, di per sé esso – come osservò lord Palmerston – “si impegnò ad abolire la schiavitù dove non aveva alcun potere di farlo, e la protesse dove poteva distruggerla”.


Conclusione

La guerra è una sciagura in cui Satana e i suoi angeli sono coinvolti a tutti i livelli e in tutte le sue fasi. Al contempo essa è uno strumento estremo di castigo e di correzione che non si verifica se Dio non lo consente o non lo ordina; del cui svolgimento, sorte e conclusione Egli mantiene il pieno controllo, se il caso lo richiede intervenendo in modo perentorio per regolarne il processo, sia nel senso del risultato che dei tempi per raggiungerlo. La battaglia di Bull Run, all’interno della guerra di secessione, ne è stato un chiaro esempio che richiama le vicende della storia del popolo d’Israele, quando Dio svelava i retroscena del proprio intervento ai profeti. Sembra di rivedere nella confusione creata tra le schiere dei nordisti l’eco di quella provocata tra i madianiti ai giorni di Gedeone, quando questi “si misero a correre da una parte e dall’altra, urlavano di paura e cercavano di fuggire… il Signore gettò nel panico tutto l’accampamento, e… infine tutto l’esercito prese la fuga… fino alle rive del torrente Abel Mecola, nei pressi di Tabbat” (Giud 7:21.22). Nel nostro caso fino alle rive del torrente Bull Run, nei pressi di Manassas. Oppure sembra di vedere il potente “angelo del Signore” quando da solo “fece morire centottantacinquemila uomini dell’esercito assiro” (Isaia 37:36). Fatte le debite distinzioni del caso, chiaramente. Infatti, mentre gli assiri per le ragioni che Dio conosce andavano fisicamente eliminati, gli americani andavano solo fermati perché la guerra non finisse prima dell’abolizione della schiavitù. Ed anzi, l’intervento dell’angelo in quel preciso momento impedì le forti perdite che invece, ad esempio, ci furono nello stesso luogo l’anno seguente nella seconda battaglia di Bull Run. Se Washington avesse ascoltato le richieste che in tal senso giungevano pressanti da più parti dell’opinione pubblica, la guerra sarebbe presto finita e si sarebbe evitato il successivo spargimento di sangue per l’ostinazione di chi amava l’istituto della schiavitù o non se ne curava più di tanto. In seguito, meditando sulla propria storia, in molti colsero questo legame semplicemente ascoltando la propria coscienza. Tra questi citiamo John Pierce St. John, già governatore del Kansas e candidato nel 1884 alla presidenza degli Stati Uniti, quando affermò in un suo discorso del 1891: “Non fui mai così deluso come quando i Confederati ce le suonarono a Bull Run. Ma faceva tutto parte del piano di Dio. Se avessimo battuto i Confederati, i politicanti avrebbero rabberciato la pace, e l’Unione avrebbe mantenuto lo schiavismo che ci ritroveremmo ancora ai giorni nostri. Così per due anni i Confederati ci tennero in scacco; ma dopo che Lincoln promulgò il ben noto Proclama per l’emancipazione [degli schiavi] ci ponemmo subito dalla parte di Dio e fummo invincibili”.

Quell’episodio di 150 anni fa ci offre la chiave di lettura di conflitti più vicini ai nostri giorni e alle nostre latitudini. Penso in particolare alla seconda guerra mondiale e alla conquista alleata della penisola italiana. Se l’invasione fosse stata condotta in modo intelligente, come avvenne per la Sicilia, l’esercito tedesco sarebbe stato rapidamente neutralizzato e si sarebbe risparmiata all’Italia la sofferenza di tante battaglie e l’oppressione d’un crudele regime fantoccio al Nord. Gli storici sono concordi nel registrare una serie di errori disarmanti e ingenuità da parte delle truppe d’invasione, e prima ancora una serie di colpevoli titubanze da parte della corona e del governo provvisorio, che consentirono ai tedeschi di riorganizzarsi e di causare da un lato gravi perdite all’esercito alleato e dall’altro d’opprimere la popolazione civile. Ebbene, in questo sviluppo d’eventi io vedo la mano di Dio al contempo castigatrice e misericordiosa. Quello degli italiani brava gente era purtroppo solo un mito. Il regime fascista era nato con la complicità della monarchia, delle classi privilegiate (e persino della Chiesa!) sullo sfondo di gravi ingiustizie sociali; e alimentò l’arbitrio, le violenze, le prepotenze, le ambizioni personali, i nepotismi, e gravi e assurde discriminazioni quali le leggi razziali. E poi le guerre. L’esercito italiano fu autore di eccidi indegni di una nazione che si professava civile e cristiana; basti pensare ai massacri nelle avventure coloniali, al bombardamento di Guernica, alle bonifiche etniche nei Balcani. Troppo facile quando le cose andavano male uscirsene con un semplice armistizio, incolpando di tutti i mali il regime come se fosse un corpo estraneo. Quello italiano non era un popolo puro e innocente, oppresso da pochi ribaldi, ed era giusto che conoscesse in casa un po’ degli orrori della guerra che aveva portato ad altri. Ed ecco allora l’immagine dell’angelo che si piazza sulla spiaggia di Anzio, per rendere strategicamente stupide le truppe da sbarco americane, o sulla linea gotica per dare efficacia alla “ritirata combattuta” di Kesselring al punto di trasformarla in una “vittoria difensiva” fino al giorno in cui era stabilito che le truppe tedesche si arrendessero senza condizioni agli alleati. Ma al contempo, insieme al castigo di Dio in questi eventi, è possibile riscontrarvi la sua mano misericordiosa. La Repubblica di Salò, per quanto oppressiva, durò solo 19 mesi; poca cosa rispetto alla Repubblica Democratica Tedesca che divise il popolo germanico, senz’altro più colpevole di quello italiano, per ben 41 anni. E inoltre Salò ha gettato le basi dello stato democratico. Infatti la lotta partigiana diede voce in capitolo ai movimenti popolari che sul momento Vittorio Emanuele III e Badoglio avevano tentato di zittire. Costoro avevano già preso contatto con gli esponenti dell’Italia liberale prefascista pensando di poter cancellare come nulla vent’anni di regime e tornare ad una democrazia dei pochi, stile ‘800. La lotta partigiana e il comitato di liberazione nazionale furono l’indispensabile premessa per la nomina di un’assemblea costituente equilibrata, portatrice di molte istanze, che ci regalò una delle più belle costituzioni al mondo che purtroppo oggi si tenta di snaturare per tornare all’arbitrio, al privilegio e all’impunità. Ecco, questo è stato un bel regalo che Dio ha fatto ai figli suoi che vivono anche in Italia. E mi piace immaginare quell’aula costituente visitata, oltre che dagli immancabili agenti di Satana, anche dagli angeli del cielo seriamente impegnati a suggerire e incoraggiare certe proposte e a scoraggiarne altre per regalarci cinquant’anni di libertà in uno stato di diritto. A tutti noi: ai buoni, e grazie ai buoni anche ai cattivi. “Perché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere per quelli che fanno il bene e per quelli che fanno il male” (Mt 5:45). Finché la misura non sarà di nuovo colma.

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