giovedì 15 aprile 2010

Il vero burattinaio

Nel secondo libro dei Re si racconta della nascita di un tiranno già da prima che questi conoscesse tale sviluppo. Ben-Adad, il re di Siria, era malato; e saputo che il profeta Eliseo si trovava a Damasco, ordinò al suo ministro Cazael di portare al profeta un dono e di chiedergli d’interrogare il Signore sull’esito della sua malattia. Il ministro del re fece come gli aveva ordinato il suo sovrano: caricò quaranta cammelli con i migliori prodotti di Damasco, si recò dal profeta israelita e gli pose quella domanda. Durante il colloquio però Eliseo si fece scuro in volto e scoppiò a piangere. «“Perché piangi?”, gli chiese Cazael. “Io so il male che farai agli israeliti! – rispose Eliseo – Incendierai le loro fortezze, ucciderai con la spada i soldati migliori, farai a pezzi i bambini, sventrerai le donne incinte”. “Come potrei fare cose tanto enormi, mio signore, io che non sono nessuno?”, replicò Cazael. “Il Signore mi ha rivelato che tu diventerai re di Siria”, concluse Eliseo» (2Re 8:12,13). E così andarono le cose. L’indomani stesso Cazael uccise Ben-Adad e usurpò il suo posto. Le fonti assire confermano la storicità dell’evento, la morte violenta di Ben-Adad II e l’ascesa al trono del suo funzionario Cazael, che non era di stirpe reale.

Anche se lui non ne era ancora al corrente, non fu casuale che Cazael usurpasse il trono di Siria; senza nulla togliere alle sue responsabilità. Ci sono alcune affermazioni di Gesù che ci aiutano a capire queste dinamiche. Le troviamo praticamente tutte nel Vangelo di Luca, definito il Vangelo sociale, attento all’azione dell’uomo nell’ambito del progetto di Dio che irrompe nella Storia. La prima affermazione la incontriamo nel capitolo 11, al verso 23: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie insieme con me spreca il raccolto”. Quest’affermazione fa il paio con un’altra che si trova alcuni capitoli più avanti: “Nessun servitore può servire due padroni: perché, o odierà l’uno e amerà l’altro; oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo” (16:13). Qui Gesù dice esplicitamente che l’uomo è un servo. Comunque un servo, perché non può non avere un padrone, un signore. Ma è un servo sui generis, poiché è libero di scegliersi il padrone che più gli aggrada. Quest’apparente contraddizione tra servitù e libertà si spiega con il fatto che Dio è un Signore sui generis. Egli, come spiega Paolo, “non si fa servire dagli uomini come se avesse bisogno di qualche cosa: anzi è lui che dà a tutti la vita, il respiro e tutto il resto” (Atti 17:23). Dio è un Signore che serve. È il buon Padre, che usa la propria autorità per prendersi cura dei suoi figli. Lo stesso Gesù, che è Dio fattosi uomo, che è il Signore, dichiarò d’essere “venuto non per farsi servire, ma per servire” (Mt 20:28). Dio, che ha creato l’uomo e lo tiene in vita, è al contempo il Signore dell’uomo e il suo servitore. L’uomo, a sua volta, che accetta la signoria di Dio, ne accetta pure i principi, servendo il suo Dio e servendo gli altri uomini; a maggior ragione se si trova in una posizione di responsabilità nei loro confronti. “Il più grande di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve” (Lc 22:26). “Se uno vuole essere il primo si faccia servo degli altri” (Mt 20:27). L’uomo che non accetta questo principio, non accetta neppure la signoria di Dio. E Dio gli lascia questa libertà, perché pur essendo Signore Egli non è un burattinaio; Egli non accetta che gli uomini siano i suoi burattini. La libertà delle sue creature intelligenti è per lui così importante da accettare le conseguenze della ribellione che ancora oggi sconvolge l’universo. Chi iniziò questa ribellione, però, non fu l’uomo; fu la più nobile, la più potente e la più onorata delle creature: l’arcangelo Lucifero. Un bel momento egli s’insuperbì e ripudiò il principio del servizio. Così facendo si sottrasse alla signoria di Dio. E mentre credeva di aver raggiunto una sfera più elevata di libertà, non solo affrancandosi dalla signoria del Creatore ma addirittura tentando di usurparne il posto, di fatto precipitava nella schiavitù del proprio peccato e si sottraeva all’unica possibile fonte della vita. Pensava di affermare un principio di libertà (la libertà di compiacere se stesso) ma in realtà cominciò un percorso di auto estinzione. “Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore dei popoli? Eppure tu pensavi: …mi farò uguale all’Altissimo” (Isaia 14:12-14). “Tu eri un modello di perfezione, per la tua grande saggezza e la tua incomparabile bellezza… Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Io t’avevo stabilito, tu vivevi sul monte sacro di Dio e camminavi fra pietre scintillanti. Ti sei comportato in modo perfetto dal giorno in cui sei stato creato fino a quando non hai cominciato ad agire in modo perverso… Il tuo splendore ti ha inorgoglito, il tuo prestigio t’ha fatto perdere la testa. Per questo ti ho gettato a terra davanti agli altri re, che ti vedano… Chi ti guarderà, vedrà solo la cenere in cui ti ho ridotto. Chi ti conosceva rimarrà sconvolto dalla tua fine, perché sei diventato motivo di terrore. Sei finito per sempre!” (Ezechiele 28:12-19).

Sottraendosi alla signoria di Cristo l’uomo pensa di trovare la massima libertà e di conseguire i migliori progetti possibili. Così facendo, invece, cade in una duplice schiavitù. Innanzi tutto perché finisce per essere dominato dai propri istinti ben rappresentati dai sette vizi capitali: avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia e, soprattutto, superbia: che è il desiderio di essere superiori agli altri, Dio compreso, fino al disprezzo degli ordini e delle leggi. Ma non dimenticando che l’uomo vive nel tempo del titanico conflitto tra Cristo e Satana, cioè tra Dio e la più potente delle creature, egli rinunciando alla dolce servitù di Cristo si pone automaticamente sotto la tirannica schiavitù dell’Avversario, lui sì vero burattinaio. Ecco perché è impossibile per l’uomo una terza posizione, una condizione di neutralità, di autonomia, di un opportunistico barcamenarsi tra le due signorie pensando così d’avvantaggiarsi, d’essere più libero. No, questo non è possibile. Come disse Gesù, “nessuno può servire due padroni”, perché finirà per rispettarne solo uno e per odiare l’altro. “Chi non è con me è contro di me”. Egli non può evitare di schierarsi. O si fa servo di Dio, che poi è schiavitù per modo di dire, è schiavitù d’amore (“Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici… Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando… Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri” - Giovanni 15:14-17). O si fa servo di Satana, il pifferaio magico che regala sogni avvelenati. Che incoraggia pulsioni innate e anche indotte. Che usa le persone a suo piacimento e poi, dopo averle sedotte e adoperate per i propri scopi, le getta via come carta straccia. Ed ecco allora la messa in guardia di Gesù: “Chi non raccoglie insieme con me spreca il raccolto”. Chi non ama il prossimo suo come se stesso, chi pensa solo al proprio tornaconto e alla propria esaltazione, si ritroverà con un pugno di mosche. Avrà lavorato per il Nemico di tutti, anche il suo. Visto che questa riflessione è il complemento sul versante scritturale dell’articolo Burattinai o burattini?, riferiamoci pure ai grandi dittatori lì presi ad esempio chiedendoci: cos’hanno guadagnato a fare quel che hanno fatto? Hanno avuto onori, potere, agiatezza per qualche tempo. Ma furono uomini sostanzialmente soli, costretti a guardarsi continuamente le spalle, nel costante timore d’essere scalzati da altri violenti della loro risma. Non realizzarono i loro sogni di grandezza. Fecero del male a tanta gente. I più di loro conclusero la loro parabola con la morte violenta, disillusi e amareggiati. Perché così ripaga i suoi servi il grande burattinaio. E non è ancora finita perché ci sarà un terzo livello.

Il primo livello è quello dei burattini che sgomitano per il loro posto al sole, per i quali ogni mossa è lecita e che non fanno prigionieri. Essi pensano che tutto sia dominato dal caso, che il corso degli eventi sia solo un succedersi di attimi anonimi fini a se stessi e privi d’ogni senso ulteriore. Oppure pensano al favore di un dio pagano che premia le imprese degli ardimentosi a prescindere dagli strumenti che essi adoperano per conseguire i loro obiettivi. Al primo esempio potremmo ascrivere il dittatore Stalin che delitto dopo delitto spense probabilmente in sé anche l’ultima fiammella divina. Si ha buona ragione di ritenere che neppure le sue mogli sfuggirono alla sua mano omicida. E quando il figlio Jakov, esasperato dal suo atteggiamento dispotico, tentò il suicidio con un colpo di pistola alla testa, egli commentò beffardo: “È incapace persino di sparare diritto”. Alla fine anche la figlia Svetlana lo abbandonò e il vecchio tiranno rimase solo, circondato soltanto da un manipolo di scherani potenti e terrificati, oggetto delle sue sfuriate e dei suoi scherzi da caserma. L’ultimo velo lo sollevò Kruscev quando svelò che il vecchio debosciato amava farsi portare al Cremlino bellissime adolescenti per assistere ai loro accoppiamenti. Eppure qualche sussulto di coscienza dovette averlo anche lui se dieci anni prima di morire, in piena guerra mondiale, convocò di sera il patriarca ortodosso Sergio e due metropoliti, trattenendoli per uno strano colloquio fino alle tre del mattino. Al secondo esempio, quello della religiosità pagana, potremmo ascrivere il dittatore Hitler. Quando nel ’44 sfuggì all’attentato di Rastenburg, scrisse alla sua amante Eva Braun che attribuiva quel miracolo alla provvidenza, e lo considerò un segno del favore divino, la promessa che le sorti della guerra si sarebbero ribaltate in favore del suo Reich millenario. Gli era già successo altre volte in passato di sopravvivere alla morte in modo inspiegabile, e ciò lo rafforzò nel convincimento d’essere un predestinato investito di una missione da compiere. Anche Mussolini credeva nel destino e nella sua investitura. Poco prima di morire scrisse nel suo testamento politico: “Io andrò dove il destino mi vorrà, perché ho fatto quello che il destino mi dettò”.

Il secondo livello è quello del grande burattinaio che traccia il percorso dei burattini e se ne serve per i propri fini distruttivi. Il Tentatore, benché ferito e indebolito dalla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, ha ancora la possibilità di schierare la sua offensiva contro il genere umano. Il nostro mondo è in realtà, sebbene per poco, ancora il suo mondo. Qui vigono le sue regole. Prima di Cristo egli voleva dimostrare che Dio è un tiranno e che la sua legge è arbitraria e inosservabile. La venuta di Cristo e il suo martirio hanno dimostrato che la legge è osservabile e che il vero tiranno è lui. Da allora egli, persa ogni residua considerazione da parte degli abitanti dell’universo, ha concentrato la sua furia sugli abitanti del mondo. “Guai a voi, o terra, o mare! Il diavolo è piombato fra voi pieno di furore, perché sa che non gli resta più molto tempo” (Ap 12:12). La sua è una battaglia di retroguardia perché la guerra è perduta. Ma ogni sofferenza che provoca all’umanità e ogni anima che perde è un dolore che arreca all’odiato Figlio di Dio. Questa è la sua vendetta e l’unica perversa soddisfazione che ormai gli resta. È la sua residua attività, che compie con impegno scrupoloso per causare il massimo danno possibile. Da qui la messa in guardia dell’apostolo Pietro: “State attenti e ben svegli, perché il vostro nemico, il diavolo, si aggira come un leone affamato, cercando chi possa divorare” (1Pt 5:8). Egli non si limita a scagliare i suoi demoni contro l’umanità, ma si serve degli stessi uomini che egli conquista alla propria causa per rendere la vita di relazione un inferno. Ogni uomo possiede dei talenti e delle debolezze, e il Tentatore è un vero esperto nel sedurre gli uomini per mezzo delle loro debolezze per poi utilizzare i loro talenti ai propri fini. Maggiori sono le loro capacità, maggiore sarà il danno. Essi pensano di perseguire i propri progetti e le proprie ambizioni quando in realtà vengono pedissequamente arruolati nelle fila del nemico dell’umanità. Egli li lusinga con miraggi di gloria, potenza, ricchezza, lussuria e altro, semplicemente per ingannarli. Li distoglie dal loro percorso di salvezza, facendogli perdere la vera eredità a cui sarebbero destinati. “Satana, il dio di questo mondo, acceca le loro menti perché non risplenda per loro la luce gloriosa dell'annunzio di Cristo…” (2 Cor 4:4). E per massimizzare il danno, li usa per sedurre e far soffrire altri uomini. Solo quando sarà troppo tardi questi suoi prigionieri capiranno che egli non persegue mai i fini dell’uomo, bensì solo ed esclusivamente i propri. Poco importa che non credano nella sua esistenza o che credano nella benevolenza di un dio pagano: essi si sono lasciati manovrare come sciocchi burattini.

Ora, se l’uomo naturale, preda dei propri istinti, ha difficoltà a riconoscere l’esistenza del Maligno con cui condivide il medesimo spirito di ribellione, a maggior ragione trova terrificante e inconcepibile l’esistenza di un’autorità che possa ostacolare il suo progetto di auto gratificazione e, alla fine, persino chiedergli conto. Ma una realtà non la si esorcizza negandola. Quando tutti i giochi verranno allo scoperto si dovrà prendere atto che questa realtà non solo esiste ma ha anche condotto la partita. E come poteva essere diversamente? Come si può anche solo immaginare che l’onnipotente Dio d’amore possa compromettere l’eterna felicità delle sue sante creature solo perché una d’esse, un giorno, s’insuperbisce e decide che la convivenza basata sull’amore sia svenevole e tirannica? Certo Dio poteva stroncare sul nascere la ribellione. Ma a quale prezzo? Quello di trasformare tutti i cittadini dell’universo in altrettanti burattini e, di fatto, confermando la tesi dell’Accusatore? Così Egli accettò che la ribellione maturasse sino alle estreme conseguenze perché rivelasse appieno e senza fraintendimenti la sua natura, essa sì, tirannica ed empia. "Per il più inaudito dei paradossi il male non può avere altra spiegazione che l'amore, perché la creazione non si può legare a Dio, che è l'amore stesso, al di fuori della libertà” (Hedwige-Louis Chevrillon). Ma scaduto il tempo della dimostrazione, verrà posto fine pure alla ribellione. Cesserà il male, e chi lo ha fatto dovrà renderne conto. Non solo Satana e i suoi angeli decaduti, ma anche gli uomini che sono vissuti cedendo alle sue lusinghe: dal più abbrutito dei miseri ai re delle nazioni che hanno abusato del potere per compiacere se stessi; e che malgrado ciò sono pure riusciti a farsi chiamare dai sudditi benefattori (vedi Lc 22:25). Coloro che si son fatti strada all’insegna di questa logica, qualunque sia la vetta da essi raggiunta, capiranno cosa intendeva Gesù quando chiese: “Che vantaggio ricava l’uomo se riesce a guadagnare anche il mondo intero ma perde la vita eterna?” (Mc 8:36). Tutti dovremo rendere conto, perché il principio di libertà implica quello di responsabilità. Coloro che hanno usato questa libertà per compiacere se stessi si renderanno conto d’aver dovuto abbassare il capo tre volte: di fronte ai propri istinti non imbrigliati, di fronte al giogo tirannico di Satana e di fronte alla giustizia di Dio. Ecco il terzo livello.

Per nostra fortuna Dio, prima ancora che Giudice, è il Redentore. E questo tempo, così imperscrutabile per le nostre menti finite, non è solo un giusto esperimento ma è anche storia della salvezza. Purtroppo molti, sprecando il dono dell’intelligenza e svendendo la loro capacità critica, si affidano al grande burattinaio e si lasciano condurre là dove non hanno alcun serio intelligente motivo di andare. Anche questa è libertà: potervi rinunciare. Ma ancora per poco una voce grida nel deserto e invita al ravvedimento: non puoi vivere solo per te stesso, non puoi barcamenarti tra due padroni; se è necessario vivere per qualcuno, scegli il Signore, perché questo è per il tuo bene e per la tua pace.