domenica 30 marzo 2008

Clima e morale

La Storia c’insegna che i periodici cambiamenti di clima, causando spesso siccità e inaridimento di molte terre abitate, sono stati all’origine di carestie, di razzie, di guerre, di spostamenti d’interi popoli e persino del tramonto o della nascita di imperi e civiltà. Quindi il clima come causa di sofferenza e di disagio per l’umanità. Gli scrittori biblici aggiungono al processo un altro elemento, stavolta d’ordine morale, che lo trasforma da lineare a circolare. L’uomo soffre a causa del proprio egoismo. Quando una società umana è fedele a Dio e si cura d’osservare i suoi comandamenti, e quindi i suoi componenti si curano dei bisogni altrui, se ne fanno carico anziché essere causa di sofferenza, allora essa gode della protezione di Dio: Egli riempirà e proteggerà i granai; aprirà il cielo e la pioggia scenderà al momento giusto (cfr. Dt 28,8-12). Quando invece una società diviene ingiusta, immorale e materialista, i potenti governano e amministrano la giustizia nel proprio esclusivo interesse; i commercianti aumentano i prezzi a loro piacimento, falsificano le misure e vendono merce nociva (cfr. Amos 2,7; 3,10; 8.5), Dio si serve anche degli eventi climatici avversi, prima per richiamare gli uomini all’ordine e poi, in caso d’irreversibile ostinazione, per eliminarli. “Il Signore vi colpirà… con arsura e siccità; farà seccare o marcire i vostri cereali quando crescono… Il cielo sopra la vostra testa avrà il colore del bronzo; e la terra sotto i vostri piedi sarà dura come il ferro. Il Signore farà piovere sui vostri campi sabbia e polvere: scenderanno dal cielo, finché sarete distrutti” (Dt 28,22-24).

Anche tutte le conseguenze connesse ai cambiamenti climatici sono descritte come giudizi divini che si abbattono sui popoli che vivono nell’ingiustizia. Il capitolo 28 di Deuteronomio elenca in prospettiva tutte le benedizioni o le maledizioni che saranno riversate sul popolo d’Israele, in procinto d’entrare nella terra promessa, in base alle sue scelte morali. Qui all’arsura e alla siccità seguono carestie, epidemie, aggressività dei popoli vicini. Persino la convivenza con gli stranieri immigrati li avrebbe resi succubi: “Gli stranieri che abitano in mezzo a voi avranno sempre più potere, mentre voi non conterete più niente. Essi vi presteranno denaro, non più voi a loro; diventeranno i vostri capi e voi sarete gli ultimi” (vv. 43 e 44). Non sembra di scorgere in prospettiva il destino della nostra civiltà?

Infatti queste minacce non riguardano solo Israele, ma tutti i popoli della terra e tutti i tempi fino al giorno in cui il governo sarà tolto all’umanità e assunto direttamente da Dio: “Se la popolazione di un paese pecca contro di me perché mi è infedele, io manifesterò contro di lei la mia potenza. Distruggerò le riserve di pane, la colpirò con la carestia e sterminerò sia gli uomini sia gli animali” (Ez 14,12). I “quattro terribili castighi” cioè “la guerra, la carestia, gli animali feroci e la peste” (v. 21), vengono ripresi da Gesù nel suo discorso profetico (“I popoli combatteranno l'uno contro l'altro, e un regno contro un altro regno. Ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in molte regioni. Si vedranno fenomeni spaventosi, e dal cielo verranno segni grandiosi” Lc 21,10-11) e poi in Apocalisse, quando alla morte viene concesso di prendersi gli uomini “con le armi, con le carestie, con le epidemie e con le bestie feroci” (Ap 6,8).

A questi giudizi, in cui la natura viene usata da Dio come strumento di ravvedimento e di retribuzione, se ne aggiunge uno specifico sulla responsabilità che viene attribuita all’uomo nella gestione delle risorse naturali. Egli non è il padrone della natura e dovrà rendere conto dell’uso che ne fa. Persino agli israeliti in guerra contro i cananei viene vietato di devastare le risorse naturali di quella gente pur condannata alla distruzione. “Quando assedierete a lungo una città per combattere contro di essa e conquistarla, non distruggerete gli alberi dei dintorni abbattendoli con la scure. Potrete mangiare i loro frutti, ma non li taglierete: gli alberi della campagna, infatti, non sono nemici da combattere!” (Dt 20,19). Ovviamente, il discorso vale anche per noi; anzi, soprattutto per noi che con la nostra tecnologia siamo in grado per la prima volta d’influire sui cambiamenti climatici e addirittura di sconvolgerli. Cosa che stiamo puntualmente facendo. Allora non deve sorprendere, chi crede nell’ispirazione anche dei libri profetici, quando legge della condanna riservata a coloro che avrebbero utilizzato male questo potere mai prima d’ora posseduto dagli uomini: il potere di distruggere la terra. Su di loro pesa una sentenza speculare: tutti quelli che distruggono la terra saranno a loro volta distrutti (cfr. Ap 11,13).

“Hanno seminato vento e raccoglieranno tempesta”, sentenzia il profeta Osea con un’espressione divenuta proverbiale e riferita alla prima accezione, in cui è Dio a servirsi della natura per castigare gli uomini: “Il loro grano non crescerà, e se maturerà non darà farina. Anche se la darà, gli stranieri la divoreranno” (Osea 8,7). Ma vale anche per la seconda accezione in cui è l’uomo a servirsi della natura per abusarne: allora, in sede di retribuzione, non varranno giustificazioni d’ordine politico, economico o sociale bensì solo ed esclusivamente morale.

Per approfondire: Guerra e fattori climatici - Il caro petrolio: un'opportunità?

Lascia un commento

domenica 23 marzo 2008

Per Approfondire



Questo sito è un ulteriore strumento ad uso del lettore per approfondire le implicazioni spirituali e scritturali degli argomenti affrontati su QUADERNI ESCATOLOGICI (quaderniescatologici.blogspot.com) a cui rimandano i link dei singoli post.