sabato 31 maggio 2008

Gog, Magog e il Regno Messianico

Siamo all’inizio del 2003, qualche settimana prima dell’invasione dell’Iraq. Thomas Römer, docente di Teologia presso l’Università di Losanna, viene contattato dalla Federazione Protestante di Francia per un incarico riservato. L’Eliseo chiede informazioni su un argomento biblico e Römer, specialista in Antico Testamento, è ritenuto l’esperto giusto per fornire questo tipo di chiarimento. Ma perché il laico Eliseo aveva quest’esigenza? Presto detto: per un colloquio appena intercorso tra George W. Bush e l’allora presidente della Repubblica Francese Jaques Chirac. Il presidente americano, nel tentativo di trarre dalla sua parte l’omologo francese, aveva tirato in ballo le profezie bibliche che riguardavano la battaglia finale tra il bene e il male. A suo avviso, lo sviluppo degli eventi nel Medio Oriente era tale da scorgervi il compimento delle profezie su Gog e Magog, aggressori del popolo di Dio, che andavano contrastati armi in pugno. Essendo Bush di fede evangelica, Chirac chiese aiuto ai protestanti di Francia per cercare di capirci qualcosa. Ecco il perché dell’incarico al prof. Römer che accettò d’inviare una nota sull’argomento all’Eliseo. Comunque Chirac si guardò bene dall’appoggiare la campagna militare in Iraq, e qualche commentatore ha ringraziato il teologo svizzero per aver contribuito con il suo scritto, d’indirizzo razionalista, a mantenere l’amministrazione francese sulle proprie posizioni.

Ora, proprio per la scarsa sagacia nell’adoperare un argomento così inopportuno con il primo cittadino della laicissima Francia, viene da pensare che George “Dàbliu” creda davvero a quel che dice su Gog e Magog. Ma cosa crede esattamente in merito l’uomo che comanda l’esercito più potente della terra? La domanda non è di poco conto se consideriamo che le azioni scaturiscono dai convincimenti, e che le decisioni del presidente americano inevitabilmente ci riguardano tutti. Prima di parlare d’interpretazioni, per evitare di limitare questa nostra riflessione a pochi iniziati conoscitori del testo biblico, trovo corretto porci anzitutto un’altra domanda: cosa afferma esattamente la Bibbia sull’argomento?

Il termine Magog s’incontra per la prima volta nel libro della Genesi, al capitolo 10, e all’inizio delle Cronache, nella cosiddetta Tavola dei Popoli; la Tavola, cioè, che pone in relazione i popoli conosciuti dall’autore biblico con la discendenza dei tre figli di Noè (Sem, Cam e Jafet). Magog lo troviamo tra i figli di Jafet insieme, tra l’altro, a Mesech, Tubal, Gomer e al di costui figlio Togarma.

Ritroviamo tutti questi nomi nel libro del profeta Ezechiele. Qui nei capitoli 38 e 39 viene pronunziato un messaggio contro “Gog, capo supremo dei popoli di Mesech e di Tubal della regione di Magog”. Da lì a molti anni questo monarca assoluto a capo di una immensa coalizione, a cui parteciperanno, oltre a Mesech e Tubal, anche soldati di Persia, Cush, Put, Gomer, Togarma, “insieme a truppe di tanti altri popoli”, invaderà il territorio d’Israele. Un territorio indifeso di gente pacifica, riunita dopo l’esilio, che vive tranquilla “in città dove non ci sono né mura né porte sbarrate”. Mentre gl’invasori staranno per compiere il loro misfatto, Dio li punirà con la morte. Gli Israeliti impiegheranno sette mesi per dare sepoltura ai cadaveri e per sette anni useranno la legna delle loro armi come combustibile da ardere.

È possibile identificare questo Magog e il tempo a cui si riferisce la profezia? È quel che cercheremo di fare. In realtà, a parte questi scarni riferimenti biblici collocati lontano nel passato o nel futuro, espressamente di Magog non sappiamo altro. Sappiamo di più, però, di Mesech e di Tubal che sono ad esso strettamente collegati. Le cronache assire fanno esplicito riferimento a questi due popoli con il nome di Mushki e Tabal, rappresentando essi una continua minaccia per l’impero assiro che profuse parecchie risorse per tenerli a bada e, talvolta, inseguirli fin sulle coste del Mar Nero. I regni di Frigia e di Cilicia in Asia Minore erano quasi certamente stati fondati da loro, ma la loro patria originaria, come per tutti gli indoeuropei, va ricercata tra il Caucaso e le steppe russe. Anzi, uno degli antichi nomi della Russia è “Muskovi” che secondo alcuni trae proprio origine da Mushki. Le stesse città russe di Mosca e Tobolsk potrebbero essere collegate ai due popoli affini di Mushki e Tabal. Pertanto non è del tutto azzardato identificare la regione di Magog con la Russia. La stessa profezia la colloca “all’estremo nord” (cfr Ez 38,15). È più facile però che si riferisca ai territori dove parte di questi popoli si era stanziata ed era entrata in contatto con le civiltà mediorientali, e cioè all’Asia Minore e al Caucaso meridionale. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Magog alluda ad un territorio chiamato Sahi, situato a ovest dell’Armenia, che prende il nome dai Saci, popolazione affine agli Sciti, i cui principi portavano spesso il nome di Gag (Gagu, nelle iscrizioni assire). Mat-Gagu in assiro significherebbe Paese di Gagu. Così si spiegherebbe al contempo il significato sia di Gog che di Magog.

Non presenta neppure particolare difficoltà l’identificazione degli altri popoli, indicati esplicitamente come alleati in questa coalizione sciagurata. Gomer andrebbe identificato con i Cimmeri, provenienti dalla Russia meridionale (la penisola di Crimea prenderebbe il nome da loro), che nel VII sec. a.C. invasero l’Asia Minore annientando il regno frigio dei Mushki. Vengono menzionati nelle cronache assire con il nome di Gimirrai e considerati affini agli Ashguzai cioè agli Sciti. Nella Tavola dei Popoli, Aschenaz è collocato tra i figli di Gomer, come del resto Togarma, altro alleato di Gog, presente come Tilgarimmu nelle iscrizioni assire e Tegarama in quelle ittite, e che andrebbe identificato con gli Armeni. Sulla Persia c’è poco da aggiungere se non il fatto che nell’antichità comprendeva il territorio dell’attuale Iran e parte dell’Iraq.

Due parole vanno spese per Cush e Put, unici popoli camiti e non indoeuropei ad essere menzionati esplicitamente nel suddetto elenco. Cush viene spesso tradotto con Etiopia; in realtà in origine comprendeva anche il Sudan settentrionale e l’Egitto meridionale. Put invece è più controverso, perché alcuni lo identificano con la costa somalo-eritrea. Altri studiosi, invece, lo identificano con la Libia ed, estensivamente, con i paesi del Maghreb mediterraneo (Tunisia, Algeria e Marocco). Sorprende che non si faccia specifico riferimento ai popoli semiti, che in grande maggioranza circondano Israele e ne sono sempre stati i nemici più pericolosi, come pure ai popoli indoeuropei occidentali a cominciare dai greci (Javan, Tiras, Tarsis, per limitarci alla Tavola dei Popoli).

Chiariti i soggetti del dramma, adesso concentriamoci sul tempo di realizzazione. I teologi razionalisti, poco disposti a concedere la dignità di rivelazione divina alle profezie bibliche, tendono a spiegarle con l’influenza di eventi drammatici accaduti ai tempi degli scrittori biblici. Hanno fatto così con le profezie di Daniele che, pur abbracciando un arco lunghissimo che giunge alla fine dei tempi, vengono schiacciate e limitate alla descrizione degli eventi pur drammatici della conquista greco-macedone e all’oppressiva dominazione sulla Giudea dei Seleucidi. Analogamente fanno con le profezie di Ezechiele, identificando Gog con Gige, che regnò sulla Lidia nel VII sec. a.C., pur a costo di stravolgere il testo. Gige infatti, pur essendo politicamente molto attivo ed estendendo il suo dominio sull’Anatolia Occidentale, non fu mai a capo di una coalizione sterminata così come descritto nella profezia; non era principe dei Mushki e dei Tabal, non invase mai Israele e non ebbe mai come alleati né i cusciti (Cush), che semmai combatté inviando truppe a supporto del faraone Psammetico, né i cimmeri (Gomer) che, al contrario, furono sempre suoi nemici e infine lo uccisero in battaglia.

Ovviamente ci sono tanti lettori della Bibbia che credono nell’ispirazione delle profezie bibliche, che ne attendono la realizzazione e che non trovano affatto risibile “fare le pulci all’attualità” per indagare sui segni dei tempi. Tra questi ci sono molti ebrei di religione israelita. Essi sanno bene che il vaticinio su Gog e Magog non si è ancora realizzato e, circondati da nemici come sono, è comprensibile che pensino ad un suo imminente compimento. Ci sono forum e giornali dove ebrei di tutto il mondo intervengono per stilare le cosiddette “mappe di Gog e Magog”, ovvero elenchi di paesi amici o nemici d’Israele in vista di questo scontro finale. Secondo uno schema prevalente, del primo potrebbero far parte gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Del secondo, l’Iran, la Russia, la Cina, la Siria e la Corea del Nord. Su altri nomi c’è dibattito. Come su quello di Vladimir Putin che alcuni suggeriscono poter rivelarsi il famigerato Gog.

C’è dell’altro. Dopo aver parlato di Gog e Magog, Ezechiele si dilunga per molti capitoli fino alla fine del libro nel descrivere il progetto del nuovo tempio. Erano trascorsi 25 anni dalla sua deportazione in Babilonia e 14 anni dalla caduta di Gerusalemme e dalla distruzione del tempio di Salomone. Ne mancavano ancora una quarantina al ritorno dall’esilio e alla ricostruzione del nuovo tempio. Già in passato profeti come Isaia, Michea e, adesso, lo stesso Ezechiele delineano uno scenario futuro dove Israele non solo tornerà ad essere abitato dagli ebrei dispersi per le deportazioni assira e babilonese, ma diverrà la capitale messianica di un regno di pace e di testimonianza per gli altri popoli, un regno da dove Dio governerà il mondo e che gradualmente si avvierà verso i giorni dell’eternità; si morirà ancora ma in tarda età (“Morirà giovane chi morirà a cent’anni” Is 65,20); “nessuno farà azioni malvagie o ingiuste”, e persino gli animali feroci perderanno la loro aggressività (v. 25). Dal nuovo tempio sgorgherà una sorgente che si riverserà nel Mar Morto e lo renderà salubre e pescoso. Su entrambe le rive del torrente cresceranno alberi i cui frutti faranno da elisir di lunga vita e le cui foglie serviranno da medicamento per guarire tutte le malattie (cfr. Ez 47).

Al ritorno dall’esilio, però, la delusione. Il tempio ricostruito non somigliava affatto a quello descritto da Ezechiele, e neppure a quello di Salomone, al cui confronto era ben misera cosa. Niente sorgente dei miracoli. La gente continuava a morire. L’idolatria era finalmente scomparsa ma continuavano le violenze, le ingiustizie e le oppressioni. Al posto del regno messianico, vi fu l’invasione dell’esercito macedone e le persecuzioni di Antioco IV Epifane. Perché la profezia non si era avverata? “Tutto questo accadrà – ammoniva il profeta Zaccaria – se ubbidirete con fedeltà al Signore vostro Dio” (Zc 6,15). Ma gli ebrei non avevano ubbidito. In pochi avevano accettato di tornare dalle terre d’esilio, dove ormai si erano integrati e avevano raggiunto floride posizioni economiche. E chi era tornato non aveva praticato la giustizia. Ma, nonostante il fallimento degli uomini, Dio può rinunziare al suo progetto di salvezza? Certamente no! Tuttalpiù può differirlo. Ecco allora gli ebrei d’oggi riproporsi maggiore fedeltà alla Torah (“Spetta a noi fare la teshuvah e seguire le 613 mitzvot al meglio”) e… la ricostruzione del tempio, proprio sulla spianata in cui oggi sorge uno dei luoghi più santi dell’Islam: la moschea di Al-Aqsa. Solo allora verrà il Messia e il giudizio delle nazioni.

Il fatto è che anche non pochi cristiani, soprattutto di matrice evangelica, credono alla stessa cosa; con la sola variante che anziché la venuta del Messia attendono il ritorno di Cristo, ma sullo sfondo del medesimo scenario. Sono i cosiddetti dispensazionalisti che credono in una finalità specifica nel piano di Dio per gli ebrei etnici, come realtà separata e ugualmente legittima rispetto alla chiesa, che governeranno la terra d’Israele per 1000 anni dopo che Cristo sarà tornato e avrà portato con sé (rapito) i cristiani. Alcuni dispensazionalisti più radicali, detti sionisti cristiani, credono che sia compito imprescindibile della chiesa sostenere lo Stato d’Israele poiché solo così i cristiani potranno partecipare alle benedizioni promesse alla discendenza d’Abramo.

C’è poco quindi da stupirsi se molti evangelici americani attendono la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e sono convinti che una grande armata mondiale sta per aggregarsi per sferrare l’attacco finale contro Israele. Sarà un conflitto voluto da Dio per fare piazza pulita dei nemici del suo popolo prima che cominci l’era di pace. Va da sé che se Dio starà dalla parte d’Israele in questo scenario, chi vorrà stare dalla parte di Dio dovrà sostenere Israele. Vista da questa prospettiva appare chiaro che l’alleanza tra Stati Uniti e Stato ebraico è resa solida da motivazioni che travalicano le già forti pressioni esercitate dalla potente lobby ebraica americana. Certamente questa lettura dei fatti sorprende l’osservatore europeo abituato a vedere dietro ogni mossa degli Stati Uniti i soliti giochi di potere e interessi meramente materiali, che indubbiamente ci sono. Ma per un americano l’elemento religioso è altrettanto fondamentale di quello economico; ogni analisi che pretende di capire la politica estera degli Stati Uniti senza considerare le motivazioni religiose si condanna a prendere cantonate.

Resta almeno da chiedersi fino a che punto siano biblicamente fondate queste credenze che condizionano scelte politiche e militari in una delle aree più calde del pianeta. Che gli ebrei credano nel prossimo avvento del regno messianico è, se vogliamo, inevitabile. Avendo respinto il Messia Gesù, cos’altro possono fare se non aspettarne un altro? La loro convinzione (certo semplificando) è che, a causa della loro infedeltà, la profezia di Ezechiele sia solo stata differita e che presto essa si realizzerà in tutti i suoi termini. Ciò che invece lascia perplessi è come dei cristiani possano credere alla stessa cosa, quando Gesù stesso, rigettato dal popolo al quale era venuto ad “annunziare la buona notizia del regno” (Mt 4,23), aveva a sua volta rigettato quel popolo: “Per questo vi assicuro che il Regno di Dio sarà tolto a voi e sarà dato a gente che farà crescere i suoi frutti” (Mt 21,43).

Purtroppo gli ebrei non avranno alcun regno messianico. Allora, sarebbe stato bello. Avrebbe significato un passaggio graduale e non traumatico dall’economia degli uomini all’economia di Dio. Ci pensiamo? Una realtà in cui la gente vive nell’altruismo, dove non ci si fa più del male l’un l’altro ma, al contrario, ci si aiuta reciprocamente a raggiungere obiettivi di sviluppo e di benessere. Dove non esiste più la sofferenza della malattia. Gesù ce ne diede un saggio: dove lui passava guariva tutte le infermità, anche le più maligne e devastanti. Nei villaggi da lui attraversati non si sentiva più un lamento. Purtroppo quelle mani compassionevoli che si posavano sui corpi deturpati e febbricitanti furono fermate dai chiodi della croce. Dissero che quell’energia salvifica veniva dal demonio. Insieme a Gesù venne respinto pure il Regno Messianico. A Dio non rimase che modificare il suo piano e adattarlo alle nuove circostanze.

Il cristiano deve guardare avanti, non indietro. Se la profezia di Ezechiele si realizzasse in quei termini, assisteremmo alla ricostruzione del tempio e torneremmo al ristabilimento dei riti sacrificali. L’opera compiuta da Cristo subirebbe un indietreggiamento e il suo evangelo della libertà sarebbe vanificato. Il Regno Messianico non abolisce ancora l’ultimo nemico dell’uomo, cioè la morte (cfr. 1Cor 15,26), ma solo ne limita il potere (cfr. Is 65,20). Oggi che attendiamo la Parusia, esso sarebbe un anacronismo e un ostacolo al pieno affrancamento dagli effetti del peccato.

In questo contesto sarebbe anacronistica pure la realizzazione letterale del Vaticinio su Gog e Magog. Ricordate il popolo d’Israele per sette mesi intento a seppellire i cadaveri di quell’esercito smisurato? E per sette anni che usa come combustibile la legna delle armi abbandonate? E ancora, possiamo capire i commercianti spagnoli (Tarsis), ma perché gli Iemeniti (Saba) e i Sauditi (i beduini di Dedan - cfr. Ez 38,13) dovrebbero dissociarsi da quest’impresa? In realtà è proprio sbagliato ravvisare in questo vaticinio il conflitto finale che precederà il ritorno di Cristo perché tale lettura striderebbe con il quadro delineato dalle specifiche profezie che riguardano quell’evento. Da esse infatti si evince che, sì, ci sarà un grande conflitto a ridosso della Parusia e che finirà per combattersi in terra d’Israele. Sarà un conflitto di portata mondiale con due o più coalizioni che si fronteggeranno. E già qui cominciamo a differenziarci dal quadro delineato da Ezechiele. Questi infatti descrive un’aggressione da parte di un esercito nei confronti di un soggetto che appare parte passiva e aggredita. Da un lato c’è il popolo di Dio, stanziato in terra d’Israele e che conduce una vita del tutto pacifica. Dall’altro c’è una coalizione sterminata cui partecipano truppe di “tanti popoli” (Ez 38,6). Di quelli elencati esplicitamente, due provengono da sud (Cush e Put), una da est (Persia) e tutte le altre da nord (oltre a Gog, il capo della coalizione, Magog, Mesech, Tubal, Gomer e Togarma). Ci sono persino degli attori che non combattono (Tarsis, Saba e Dedan) e che si consentono di criticare l’azione degli aggressori (cfr. Ez 38,13). Il conflitto che precederà il ritorno di Cristo, invece non prevede spettatori: vi parteciperanno tutti attivamente e nessun contendente godrà della protezione di Dio. Chi darà fuoco alle polveri sarà un gruppo di nazioni capeggiate dall’Egitto (Dn 11,40), probabilmente una lega di regimi integralisti. Risponderà alla provocazione una coalizione occidentale capeggiata dall’Europa e dagli Stati Uniti. Essa invaderà e imperverserà sul Medio Oriente e in Nordafrica. Stabilirà il suo quartier generale in Israele. Quindi sarà attaccata da una coalizione di eserciti provenienti dall’estremo oriente e dal settentrione a cui essa risponderà con una controffensiva estremamente violenta. Infine, anche per motivi di tenuta della coalizione, soccomberà. Da questa guerra terribile non scamperà neppure lo stato ebraico e, ironia degli eventi, proprio per mano della coalizione occidentale; non di quella nord-orientale che per un improprio accostamento con la profezia di Ezechiele potrebbe identificarsi con la coalizione di Gog. Di questo conflitto finale parleremo più approfonditamente e daremo i riferimenti biblici.

Ma allora, né il Regno Messianico né l’impresa di Gog e Magog avranno alcun tipo di sviluppo nella realtà futura delineata dalle profezie apocalittiche? La risposta è sì. Sia pure con notevoli modifiche al progetto originario, anch’essi in qualche modo troveranno il loro compimento.

Giovanni nel descrivere la dimora dei salvati riprende proprio gli ultimi capitoli di Isaia e di Ezechiele che parlano del Regno Messianico. Dopo aver visto discendere sulla nuova terra la Gerusalemme celeste (Ap 21,2), egli osservò che dal trono di Dio sgorgava un fiume vivificante sulle cui rive cresceva l’albero della vita. “Esso dà i suoi frutti dodici volte all’anno, per ciascun mese il suo frutto. Il suo fogliame guarisce le nazioni” (Ap 22,2). Anche gli alberi da frutta d’ogni tipo, che sarebbero cresciuti in riva al torrente sgorgato dal tempio, avrebbero dato un raccolto mensile e le loro foglie sarebbero state “usate come medicine” (Ez 47,12). Il Regno Messianico, previsto come transizione al Regno eterno di Dio ma purtroppo reso impossibile a causa della resistenza degli uomini, trova la sua realizzazione spirituale in quest’ultimo, sembra dirci Giovanni. Anzi viene superato, perché al cospetto del trono di Dio gli uomini avranno più che il dono della longevità, avranno quello dell’immortalità. “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. La morte non ci sarà più. Non ci sarà più né lutto né pianto né dolore. Il mondo di prima è scomparso per sempre” (Ap 21,4).

Lo stesso dicasi per il vaticinio su Gog e Magog. Dobbiamo tenere presenti sia il contesto che il target per cui scriveva Ezechiele. Da anni ormai sia lui che i giudei, cui egli indirizzava i suoi messaggi, vivevano in cattività a Babilonia. Essi erano calati in quella cultura. Da sempre le orde, spesso selvagge, degli indoeuropei avevano costituito una minaccia per le civili popolazioni mesopotamiche: i gutei, i cassiti, i medi e i persiani dallo Zagros, e gli ittiti, i frigi, i cimmeri e gli sciti da settentrione, avevano compiuto scorrerie e talvolta occupato stabilmente la regione. Esse costituivano il “nemico” per antonomasia. Compito di Ezechiele fu quello di preparare gli esiliati ebrei al rientro in Israele in vista della creazione del Regno Messianico che poi, come abbiamo detto, non si realizzò per la consueta infedeltà di questo popolo. Ezechiele comunque delineò lo scenario della storia futura nel caso che tale regno si fosse realizzato. Tale scenario prevedeva la costituzione di un governo di pace in Israele, la cui influenza positiva si sarebbe estesa a raggiera a cominciare dalle nazioni circostanti per poi espandersi fino alle estremità della terra. Questo processo tuttavia non si sarebbe realizzato senza incontrare ostacoli. Le forze del male avrebbero cercato di ostacolarlo fino al punto di coalizzarsi in una vastissima alleanza che avrebbe avuto come obiettivo finale la distruzione del Regno Messianico. Chi meglio avrebbe potuto simboleggiare tale alleanza delle orde indoeuropee che calano dal settentrione? Ciò spiegherebbe perché altre etnie come i semiti non fanno parte esplicita della coalizione. Persino gli alleati Cush e Put, sempre che si siano conservati integri nelle successive trascrizioni del testo, potrebbero riferirsi non ai noti popoli camiti bensì ad altre genti indoeuropee quali i Kushan, imparentati con i Tocari, che secoli più tardi fondarono un impero che si estendeva dal Tagikistan al Mar Caspio. E chi più di Gog, un capo di questi nemici di cui forse in Mesopotamia si ricordavano le gesta famigerate, poteva meglio rappresentare il condottiero delle schiere future nemiche del popolo messianico? Se questa lettura è corretta, Ezechiele, nell’evocare questo personaggio antimessianico, avrebbe adoperato lo stesso espediente letterario del Salmista quando usò la figura storica di Melchisedec, re di Salem, come archetipo del futuro re-sacerdote messianico.


Comunque, non essendosi costituito il Regno Messianico non potrà neppure realizzarsi quest’evento che descrive l’ultimo assalto dei pagani contro la sua capitale. Sbagliano quindi coloro che, non avendolo visto realizzare nel passato, lo collocano nel futuro millennio che intercorrerà tra il ritorno di Cristo e la definitiva eliminazione dei malvagi. E sbagliano pure coloro che lo confondono con la battaglia di Armagheddon – di fatto la futura Terza Guerra Mondiale – che si combatterà a ridosso del ritorno di Cristo, e che metterà fine al catastrofico governo degli uomini.

Giovanni tuttavia ripesca quell'episodio irrealizzato e lo accosta al suo analogo sicuro e ben più lontano nel tempo, sempre in questa sua preoccupazione di dare continuità al progetto divino che procede comunque verso la desiderata conclusione, nonostante gli ostacoli posti dagli uomini e la necessità di continui aggiustamenti. In tal modo le profezie trovano il loro compimento almeno nel loro versante spirituale. E questo vale anche per la profezia su Gog e Magog che egli esplicitamente collega all’evento più drammatico e solenne della storia del mondo: la retribuzione dei reprobi. Scrive a proposito l’Apostolo:

“Quando saranno trascorsi i mille anni, Satana sarà liberato dalla sua prigione, e andrà a convincere Gog e Magòg e tutti i popoli del mondo numerosi come la sabbia del mare, e li radunerà per la guerra. Eccoli, dilagano su tutta la terra e assediano il campo di quelli che appartengono al Signore, la città che egli ama. Ma giù dal cielo venne un fuoco che li divorò” (Ap 20,7-9).

Qui la diade Gog/Magog ha perso ogni riferimento sia a persone specifiche che a noti invasori pur continuando a simbolizzare i nemici aggressori del governo di Dio, in questo caso “tutti i popoli del mondo” e di tutti i tempi. Il loro numero immenso (“numerosi come la sabbia del mare”) suggerisce che non sono gli uomini di una sola generazione ma tutti gli empi vissuti da quando esiste l’umanità. Avremo occasione di ritornare sugli scenari delineati dalle profezie apocalittiche; qui ci basterà elencare sinteticamente gli avvenimenti che ci aiutino a contestualizzare questo specifico evento. Gesù, al suo ritorno, risusciterà gli uomini giusti che renderà immortali insieme a quelli ancora viventi e li porterà con sé nella città celeste. I malvagi viventi non reggeranno a questa, per loro, spaventosa visione e periranno. Satana e i suoi demoni, rimasti soli su questa terra, avranno il tempo e la possibilità di riflettere sulle loro malefatte e sull’insensatezza della loro ribellione. Trascorsi mille anni la Gerusalemme celeste scenderà su questa terra, proprio in terra d’Israele, con tutti i suoi abitanti: Dio, gli angeli e l’umanità redenta. Al contempo risusciteranno gli uomini malvagi di tutti i tempi nei loro corpi mortali. Satana, sciolto dalle catene di circostanza, dimostrerà la propria irrecuperabilità radunando tutti i malvagi e inquadrandoli in un esercito sterminato e terrificante nel folle tentativo di attaccare e distruggere la santa città e i suoi pacifici abitanti. Durante quell’ultima azione scellerata, Dio pronuncerà il giudizio individuale che tutti riconosceranno come giusto e quindi pioverà del fuoco dal cielo che distruggerà per sempre ogni essere malvagio e purificherà la terra, rendendola interamente abitabile dalla nuova umanità e facendone la capitale dell’universo. “E così Dio regnerà effettivamente in tutti” (1Cor 15,28).


Per approfondire: Un'alleanza inevitabile

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